Il contributo «Negata la libertà di domicilio agli ebrei» è tratto dal blog del Museo nazionale svizzero.

Autore: Patrik Süess
Pubblicato il: 05.04.2019
Aggiornato il: 01.09.2020

Negata la libertà di domicilio agli ebrei

La Costituzione federale del 1848 negava agli ebrei la libertà di domicilio. È stato necessario attendere fino alla firma di un trattato commerciale con la Francia affinché la Svizzera mettesse fine a questa discriminazione.

Raffigurazione di ebrei in Svizzera in una stampa del 1840
Raffigurazione di ebrei in Svizzera in una stampa del 1840

Raffigurazione di ebrei in Svizzera in una stampa del 1840
Museo nazionale svizzero


La Costituzione federale del 1848 era a quel tempo tra le più avanzate in Europa. Ma anch’essa si portava appresso qualche scoria del passato. Una delle contraddizioni più stridenti rispetto alla conquista civile dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge risiedeva nell’articolo 41, che stabiliva che unicamente «gli Svizzeri appartenenti ad una delle Confessioni cristiane» avevano «il diritto di libero domicilio su tutto il territorio» della Confederazione. Il libretto informativo per la popolazione svizzera spiegava che questa disposizione era stata pensata soprattutto per escludere gli ebrei, in particolare quelli stranieri, che non avrebbero mancato di invocare i trattati vigenti tra la Svizzera e i Paesi limitrofi che sancivano la parità di trattamento tra i rispettivi cittadini. Questo significava che i Cantoni erano liberi di rifiutare il permesso di domicilio agli ebrei (anche agli ebrei di nazionalità svizzera riconosciuta), ed è ciò che fece la maggior parte di essi. E visto che perfino cittadini di nazionalità svizzera si vedevano negato il domicilio in quanto ebrei, la Svizzera si riteneva legittimata a negarlo anche agli ebrei stranieri.

Nel febbraio 1848, nella commissione di revisione della Costituzione solo i rappresentanti dei Cantoni di Ginevra, Neuchâtel, Vaud e Argovia votarono contro l’introduzione di questo articolo discriminatorio. Che la presenza degli ebrei costituisse una minaccia era, per la maggioranza dei «padri costituenti» svizzeri, un dato di fatto assodato. Il rappresentante di Zurigo (e primo presidente della Confederazione), Jonas Furrer, insistette in modo particolare su questa esclusione e prospettò ulteriori leggi restrittive nei confronti degli ebrei. I rappresentanti degli ebrei svizzeri, la maggior parte dei quali viveva nei due poveri villaggi contadini di Oberendingen e Lengnau, nel Cantone di Argovia, presero atto costernati di questo declassamento: «Un'alta commissione di revisione federale ci permetterà di fare osservare che questa esclusione ci colpisce contro ogni aspettativa e che non vediamo alcuna ragione per cui debba essere introdotto nella nuova Costituzione questo declassamento che priva la nostra gioventù delle migliori prospettive per il futuro.»

Elvezia viene omaggiata dagli ebrei
Elvezia viene omaggiata dagli ebrei

Elvezia viene omaggiata dagli ebrei. Nella vecchia Confederazione, ogni 16 anni gli ebrei dovevano acquistare dal balivo, a prezzo salato, una lettera di protezione che garantiva loro il diritto di soggiorno per un ulteriore periodo. Frontespizio di J. C. Ulrich, 1768.
Museo nazionale svizzero

Stampa della Costituzione federale del 1848
Stampa della Costituzione federale del 1848

Stampa della Costituzione federale del 1848.
Museo nazionale svizzero

Differenze con la Francia e gli Stati Uniti

Con l’introduzione nella Costituzione di questa clausola discriminatoria, i politici pensavano di aver risolto definitivamente i loro rapporti con l’estero per quanto riguarda il diritto di domicilio; dovettero però ben presto ricredersi. Quando, nel 1851, Basilea Campagna iniziò a espellere i cittadini francesi ebrei che risiedevano nel Cantone senza autorizzazione, per finire poi con il proibire del tutto agli ebrei di soggiornare sul suo territorio, la Francia protestò a nome dei suoi cittadini ebrei contro questa «espulsione forzata». Nel 1855 la Svizzera concluse un trattato commerciale con gli Stati Uniti che privava gli ebrei americani del diritto di soggiornare liberamente in Svizzera. Ma questa apparente vittoria della Svizzera, che era riuscita a imporre il suo punto di vista, suscitò immediatamente oltreoceano un’ondata di indignazione. Il presidente degli Stati Uniti in persona incaricò il suo ambasciatore a Berna, Theo S. Fay, di preparare un rapporto sulla situazione legale in Svizzera. Nel 1859 Fay presentò un rapporto tutt’altro che lusinghiero per la Svizzera. Egli riferiva che un ebreo americano non incontrava problemi a viaggiare in Francia o in Prussia, ma una volta che arrivava in Svizzera veniva trattato alla stregua di un truffatore, un usuraio, un nemico, anche se non aveva la benché minima intenzione di fare del male a nessuno. Se non era un gendarme a espellerlo dal Cantone senza preavviso e senza troppi complimenti, compariva un funzionario di polizia a redarguirlo, chiedendogli di pagare una multa spropositata. A seguito del rapporto, alcuni Cantoni, come Grigioni, Zurigo e San Gallo, abolirono le restrizioni in materia di soggiorno. Tuttavia, finché l’articolo 41 sarebbe rimasto in vigore, nessun Cantone poteva essere costretto a modificare la propria prassi in materia.

La Francia è irremovibile

Se in un primo tempo la Svizzera era riuscita a imporre nei trattati commerciali con gli Stati esteri la clausola discriminatoria antiebraica, all’inizio degli anni Sessanta del XIX secolo si assiste a una svolta. Nel 1863 i Paesi Bassi si rifiutarono di ratificare un simile trattato, accusando la Svizzera di essere illiberale; nello stesso anno, la Francia decise che si sarebbe rifiutata di entrare nel merito dei negoziati se la Svizzera avesse continuato a escludere gli ebrei francesi dal diritto di domicilio riconosciuto reciprocamente. Il caponegoziatore svizzero Johann Kern cercò inizialmente di usare questo punto come moneta di scambio, per ottenere concessioni su questioni doganali, ma la parte francese chiarì immediatamente che non aveva intenzione di barattare «questioni di alta moralità» con agevolazioni doganali.

Fu così che, nel 1864, l’Assemblea federale si risolse infine ad accettare le condizioni francesi. La ratifica era stata preceduta da accese discussioni che vertevano, oltre che sul principio fondamentale della libertà di domicilio degli ebrei, su problemi legati alla sovranità dei Cantoni. Per convincere ad accettare il trattato, il presidente della Confederazione Jakob Dubs aveva fatto appello all’onore e agli interessi economici della Svizzera. Aveva ricordato che la Costituzione federale conteneva la bella frase «tutti gli Svizzeri sono uguali innanzi alla legge», ma che l’articolo 41 aveva contraddetto questo principio a scapito degli ebrei. «Se guardiamo il mondo che ci circonda – aveva affermato il presidente Dubs – dobbiamo constatare con vergogna che in questa questione concernente gli ebrei siamo soli, o in brutta compagnia, che è quasi peggio che essere soli. Siamo additati da tutta l’Europa. Nessuno Stato vuol più stipulare un trattato con noi, perché discriminiamo una parte dei loro cittadini. Non è più possibile continuare in questo modo, ne va del nostro onore e dei nostri interessi». A chi temeva che un cedimento alle pressioni francesi avrebbe incrinato la capacità di autodeterminazione della Svizzera, il consigliere di Stato del Canton Argovia, e futuro consigliere federale, Emil Welti aveva ribattuto in modo secco che «per qualcosa di vero, buono e giusto è certamente legittimo cedere; con la nostra sola volontà non saremmo andati così lontani; ogni passo avanti dipende da mille altri che rafforzano i principi morali, come in questo caso».

Con la ratifica del trattato commerciale con la Francia, gli ebrei francesi potevano ora stabilirsi in Svizzera: un diritto che invece sarebbe stato negato ai loro correligionari svizzeri finché fosse rimasto in vigore l’articolo 41. Per sopprimere tale articolo il Consiglio federale indisse una votazione popolare per una revisione parziale della Costituzione federale. Il 14 gennaio 1866 il Popolo svizzero accettò la modifica costituzionale con il 53 per cento di voti favorevoli, pur con risultati molto variabili da Cantone a Cantone. Zurigo accettò la revisione con il 93,9 per cento di sì, mentre Appenzello Interno, fanalino di coda, la affossò con un misero 2 per cento di sì. La piena libertà di religione e di culto sarebbe diventata realtà solo con la revisione totale della Costituzione federale nel 1874.

Stampa del consigliere federale Emil Welti
Stampa del consigliere federale Emil Welti

Stampa del consigliere federale Emil Welti.
Museo nazionale svizzero

Esposizione Museo nazionale svizzero